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Lara Toccafondi, Project Manager Cantiere Digitalizzazione e Tecnologie Assistive Rete UP

Innovazione e assistenza domiciliare: Il Robot di Telepresenza che supporta la cura degli anziani.

Grazie ad una convenzione con l’Università di Firenze, Umana Persone ha ospitato nel corso del 2023 il tirocinio di Alessia Bylykbashi, studentessa del corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale.

Alessia ha avviato uno studio sulla valutazione d’impatto dell’inserimento di robot di telepresenza nei servizi di assistenza domiciliare, e ha approfondito il lavoro con la sua tesi di laurea, dal titolo “Methods and models for the redesign of home care services enabled by the introduction of assistive technologies”.

La tesi ha esplorato il processo decisionale per l’introduzione del robot di telepresenza, utilizzando l’approccio MACBETH. Questo metodo ha permesso di analizzare 19 criteri diversi, portando alla scelta di una soluzione che massimizza i benefici: l’uso ottimale del robot è finalizzato a monitorare e offrire supporto sociale, migliorando la frequenza e la qualità degli interventi. I criteri hanno spaziato dall’efficacia del robot nel monitoraggio delle condizioni di salute, alla sua capacità di fornire supporto emotivo e sociale, fino alla facilità di utilizzo da parte degli anziani e dei loro caregiver. Si è tenuto conto anche dell’impatto sulla privacy e della sicurezza dei dati, aspetti cruciali nei servizi alla persona.

L’analisi evidenzia che l’uso del robot non solo può aumentare l’efficienza dei servizi, ma è in grado anche di migliorare la qualità della vita degli utenti, fornendo loro maggiore sicurezza e indipendenza. Sottolinea però anche come l’introduzione di questo tipo di soluzioni presenti importanti sfide alle organizzazioni, quali la loro integrazione nella struttura organizzativa esistente e la formazione del personale.

Questo studio offre una roadmap per le cooperative che desiderano introdurre tecnologie simili: mostra l’importanza di un’analisi dettagliata e del coinvolgimento degli stakeholders, fornendo un modello replicabile per future innovazioni.

Il risultato di questo lavoro ci dice che l’uso di dispositivi digitali rappresenta una forma di innovazione che va oltre la mera efficienza operativa: abbiamo a che fare con l’introduzione di un nuovo modo di pensare la cura, ponendo le basi per un futuro in cui la tecnologia integra e sostiene il lavoro delle/per le persone.

Gianluca Salvatori, Segretario Generale di EURICSE e membro del GECES (Gruppo di esperti della Commissione Europea sull’economia sociale)

DAI MARGINI AL CENTRO: L’ECONOMIA SOCIALE E I COMPITI DELLE ISTITUZIONI E DELLE IMPRESE SOCIALI.

Ce ne parla Gianluca Salvatori.

 

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Pochi mesi ancora e l’attuale Commissione europea concluderà il suo mandato. È presto per prevedere l’esito delle prossime elezioni ma dopo i recenti risultati elettorali in Polonia, la formazione del nuovo governo spagnolo e considerata la situazione in Germania, dove il quadro politico non sembra più virare a favore delle forze a destra dei popolari, appare al momento probabile la riconferma dell’accordo tra i tre più grandi raggruppamenti della politica europea: popolari, socialisti e liberali.

La prospettiva di una continuità con la gestione von der Leyen sarebbe una buona notizia. Malgrado le enormi fragilità della governance europea – come di nuovo evidenzia in queste settimane l’impotenza dell’Europa sulla scena internazionale – l’attuale Commissione sarà comunque ricordata come una delle migliori di sempre. A contraddistinguerla, la consapevolezza di dover far fronte a grandi transizioni, anche rimettendo in discussione le politiche con cui l’Unione europea ha reagito alla grande recessione del 2008 e, soprattutto, alla crisi dell’area euro e del debito sovrano. Gli eventi hanno spinto le istituzioni di Bruxelles a guardare la realtà con schemi diversi dal passato, in più di un caso superando in lungimiranza i governi nazionali. 

La Commissione uscente ha dovuto prendere atto dell’impatto negativo prodotto dalle politiche di austerity sulla tenuta sociale dell’Unione e ha dato voce alla necessità di percorrere strade nuove rispetto al tradizionale approccio basato su competizione, riduzione dei vincoli alle forze del mercato, riduzione del deficit e rigore fiscale. Per reagire ai rischi posti al progetto europeo dalla rinascita dei nazionalismi e dalla crescente ondata populista l’attenzione è tornata sul pilastro sociale, di cui si era persa traccia dai tempi di Jacques Delors. Su un fronte ciò si è tradotto in un rinnovato spazio per l’iniziativa pubblica, fondato sull’assunto che i fallimenti del mercato non sono rare eccezioni e che lo Stato non è sostituibile quando si tratta di affrontare crisi di ampie dimensioni.  Sull’altro fronte, complementare, si è invece fatta strada l’esigenza di ripensare il rapporto tra economia e società in chiave di non subordinazione della seconda alla prima.

La pandemia ha provocato una serie di interventi impensabili nel passato, come il piano per la ripresa e resilienza (Next Generation EU), il meccanismo di salvaguardia dell’occupazione (SURE) e la sospensione del patto di stabilità. Tutte misure per il cui finanziamento l’Unione europea ha infranto il tabù del debito comune promuovendo una visione di politica economica condivisa. Dopo decenni di enfasi sull’allargamento del mercato unico e sulle politiche per la concorrenza un nuovo lessico ha cominciato ad affacciarsi nei palazzi della Commissione. Il riferimento alla dimensione sociale ha cominciato a uscire dagli stretti limiti di una visione che gli assegnava un ruolo marginale e comunque di competenza solo nazionale. Ed è in questo contesto che la Commissione è intervenuta per affermare l’importanza dell’economia sociale nelle proprie strategie di sviluppo, allargando lo sguardo fino a comprendere anche l’esistenza e la funzione di attività economiche non rivolte esclusivamente al profitto. Dalle imprese sociali e cooperative alle fondazioni, dalle mutue agli enti non profit, nel linguaggio delle autorità europee è entrato un concetto che tiene insieme tutte le forme in cui la società civile opera nella sfera economica per produrre beni di interesse generale. Si è venuta strutturando una visione secondo cui per lo sviluppo dei paesi europei è fondamentale anche una nozione (e una pratica) di impresa che non sia concepita soltanto come strumento per il profitto. Perché le conseguenze della teoria del primato degli investitori, in auge dagli anni ‘80, ha dimostrato di generare un livello di disuguaglianza e esclusione sociale che rischia di compromettere il disegno di unità europea.

In questa direzione, in pochi anni, da Bruxelles sono arrivati segnali molto chiari. Prima (2021) l’approvazione di un Piano di azione per l’economia sociale, di durata decennale e con relativi impegni finanziari sul bilancio UE. Poi il riconoscimento dell’economia sociale nell’ambito della Strategia industriale europea, promossa a specifico settore della strategia per una transizione sostenibile. Questi due atti implicano a loro volta una serie di impegni sul fronte dei finanziamenti, degli investimenti, dell’adeguamento normativo, degli interventi di capacity building e di formazione, della partecipazione alle politiche settoriali. Fino al ripensamento stesso delle regole che disciplinano gli aiuti di Stato e dei meccanismi che regolano le commesse pubbliche, in quanto il riconoscimento della specificità dell’economia sociale ne impone la revisione alla luce dei vincoli di non redistribuzione degli utili e della finalità orientata all’interesse generale. In altre parole, una profonda revisione dell’insieme delle politiche rivolte a organizzazioni che erano viste come marginali, e limitate a interventi di politica sociale, e che ora invece vengono scoperte per il valore che possono portare alle strategie europee a tutto campo, superando l’artificiosa distinzione tra ambito economico e sociale.

Proprio in queste settimane questa posizione della Commissione ha fatto un ulteriore passo in avanti. Nel Consiglio europeo di novembre è stata approvazione di una Raccomandazione che impegna tutti gli Stati membri a promuovere l’economia sociale a livello nazionale. Una raccomandazione – come è noto – non ha la forza normativa di una direttiva o un regolamento, ma comunque rappresenta un livello più alto di impegno perché pone le autorità europee nella condizione di monitorare i governi nazionali e pungolarli perché passino dalle parole ai fatti. Non si tratta più infatti soltanto delle scelte di Bruxelles, ma di un impegno che ricade su tutti i paesi membri. Con questo passaggio si chiude un ciclo, sotto la diretta responsabilità delle autorità europee, e se ne apre un altro che sollecita l’impegno dei governi nazionali. La Raccomandazione è stata approvata da tutti gli Stati dopo un lavoro che ha permesso di definire una cornice comune di riferimento per favorire politiche nazionali che tengano conto della eterogeneità dei contesti locali. L’Italia, forte di una presenza significativa di organizzazioni di economia sociale, ha contribuito dal basso a questo percorso e quindi è impegnata a dare seguito a questo indirizzo. I prossimi mesi mostreranno quanto convinta sia stata l’adesione italiana alla Raccomandazione. E si vedrà se le linee di azione proposte da Bruxelles troveranno un terreno accogliente tanto a livello di istituzioni pubbliche nazionali e regionali, quanto tra le organizzazioni che compongono il settore dell’economia sociale. Come già sta avvenendo a livello europeo, il riconoscimento istituzionale sarebbe ben poca cosa se non venisse accompagnato da una serie di azioni relative alle politiche di merito, alle misure finanziarie, agli strumenti di sostegno e promozione. Perché l’economia sociale venga presa sul serio è l’intero approccio che va ripensato. E questo richiede che iniziativa dal basso e dall’alto si incontrino.

In altri paesi, infatti, il processo di riconoscimento dell’economia sociale si è messo in movimento quando entrambi i mondi – quello pubblico e quello delle organizzazioni del settore – si sono resi disponibili a superare i tradizionali confini, tra di loro ma anche al loro interno, accettando di creare occasioni e infrastrutture di lavoro comune tra le diverse componenti. È così, ad esempio, che in Spagna il Cepes – il comitato che riunisce i diversi attori dell’economia sociale – è riuscito a influire sul processo legislativo ottenendo una legge che, già da dieci anni, riconosce il ruolo del settore. E sulla cui base è stato possibile che all’associazione di rappresentanza delle organizzazioni dell’economia sociale venisse riconosciuto il ruolo di autorità di gestione dei fondi europei destinati al settore, ottenendo un accesso diretto alle risorse di Next Generation e della programmazione europea 2021-27. O, anche, è in questo modo che l’economia sociale francese è riuscita nel corso del tempo ad ottenere che vi fosse un interlocutore politico di alto livello nel Governo, con il quale sviluppare strategie di sviluppo in una prospettiva sistemica.

La Raccomandazione del Consiglio europeo prevede che nei prossimi diciotto mesi gli stati membri provvedano a definire dei piani nazionali per promuovere coerenti politiche pubbliche di sostegno all’economia sociale. Se l’esperienza europea può insegnarci qualcosa, il processo va stimolato dal basso. La consapevolezza del ruolo dell’economia sociale non è sorta spontaneamente nelle istituzioni europee, e quindi anche a livello nazionale sono impensabili accelerazioni senza un impegno vigoroso da parte degli attori interessati. È richiesta una prova di maturità: il salto dalla difesa delle singole forme, organizzative e giuridiche, alla capacità di concepirsi come un insieme, fatto da componenti diverse ma con una visione comune del rapporto tra economia e società. È questa, anche in Italia, la strada da percorrere. Possibilmente senza perdere tempo.

Diego Dutto, Coordinatore Legacoopsociali nazionale e membro del Comitato Economico e Sociale Europeo (EESC)

UN’ECONOMIA SOCIALE PER RIDISEGNARE LO SVILUPPO IN CHIAVE GENERATIVA, INCLUSIVA, SOSTENIBILE, IN SINTONIA CON LE ESIGENZE E LE ASPIRAZIONI DELLE COMUNITÀ LOCALI. 

Ce ne parla Diego Dutto.

 

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“Non ci sarebbe più la pietà se non rendessimo povero qualcuno;

e la compassione non potrebbe più esserci

se fossero tutti felici come noi.”

WILLIAM BLAKE

 

Stiamo vivendo tempi tumultuosi, la crisi pandemica prima e l’attuale dramma delle guerre in Medio Oriente ed in Ucraina ci dimostrano, se mai ce ne fosse ancora bisogno dopo il 2009, che il mercato non basta a garante un futuro all’umanità.

In Occidente, per la maggior parte delle persone sotto i vent’anni l’assenza di alternative al capitalismo non è nemmeno più un problema: il capitalismo semplicemente occupa tutto l’orizzonte del pensabile, e non riesco a non citare, come spesso faccio, Mark Fisher che nel suo libro “Realismo Capitalista” afferma anche che oggi, per la prima volta nella storia, è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.

Quello che serve in questo momento per un’analisi corretta della situazione socio economica che stiamo vivendo è legare l’effetto alla sua causa strutturale.

La bolla internazionale dei mutui subprime e i crolli bancari del 2007-2009 prima e lo shock energetico poi hanno dimostrato che le società di capitali possono arricchire, plasmare e modellare positivamente il destino delle nazioni, ma possono anche trascinare nel baratro le loro economie.

Il mondo attuale non è affatto post-imperialista e probabilmente non lo sarà mai. Al contrario, l’impero sta assumendo le forme di un potere globale che, per realizzare i suoi scopi, si serve di contributi elettorali e lobbismo commerciale, sistemi finanziari internazionali e mercati globali, influenza aziendale e raccolta di dati predittivi ad opera del nuovo ‘capitalismo della sorveglianza’, piuttosto che, o talora accanto, alla conquista e l’occupazione militare o il dominio economico diretto.

Queste considerazioni non posso che farci riflettere sul fatto che senza un lavoro concreto sulla riduzione delle disuguaglianze e la costruzione di una società coesa dove il benessere di tutte le persone viene prima del profitto di pochi, non potremo pensare ad un futuro sostenibile o meglio semplicemente ad un futuro per il nostro martoriato pianeta.

A questo proposito risulterà cruciale l’attuazione del Piano d’azione Europeo per l’economia sociale presentato il 9 dicembre 2021 dalla Commissione Europea e volto a sviluppare il potenziale di crescita di imprese sociali, cooperative, fondazioni e associazioni non profit e aumentarne il contributo alle transizioni verde e digitale, se questo si trasformerà in azioni concrete in tempi rapidi avremo la possibilità di avviare una nuova stagione di ripresa e sviluppo.

L’economia sociale ha il potenziale di ridisegnare l’economia attraverso modelli economici generativi, inclusivi e sostenibili capaci di dar luogo a una trasformazione ecologica, economica e sociale più equa, svolgendo un ruolo essenziale nella transizione verso spazi e stili di vita più belli, sostenibili e inclusivi, come quelli promossi dal nuovo Bauhaus europeo[1], apportando nuovi approcci e soluzioni transdisciplinari in sintonia con le esigenze e le aspirazioni delle comunità locali.

Tuttavia, una parte di questo potenziale non è ancora sfruttata a sufficienza. L’economia sociale rimane sconosciuta a troppe persone[2]. Molti consumatori desiderano acquistare in modo più responsabile[3] in relazione all’origine dei beni e dei servizi, ma non sempre sanno come farlo. I soggetti dell’economia sociale non sempre hanno la possibilità di accedere a capitali “pazienti” prontamente disponibili per investimenti a lungo termine. Le autorità pubbliche non utilizzano appieno le possibilità esistenti per facilitare l’accesso delle imprese sociali agli appalti pubblici o ai finanziamenti, né la flessibilità offerta dalle attuali norme UE in materia di aiuti di Stato. Non essendo sufficientemente compresi né riconosciuti, i soggetti dell’economia sociale si trovano ad affrontare difficoltà nello sviluppo e nell’espansione delle loro attività, che impediscono loro di incidere in misura ancora maggiore a livello economico e sociale. Hanno quindi bisogno di un sostegno maggiore e migliore per crescere e prosperare.

L’economia sociale comprende una serie di soggetti con modelli imprenditoriali e organizzativi diversi, che operano in un’ampia gamma di settori economici quali sanità, sociale, agricoltura, silvicoltura e pesca, edilizia, riutilizzo e riparazione, gestione dei rifiuti, commercio all’ingrosso e al dettaglio, energia e clima, informazione e comunicazione, attività finanziarie e assicurative, attività immobiliari, attività professionali, scientifiche e tecniche, istruzione, arte, cultura e media.

Nel contesto del piano d’azione e delle iniziative UE correlate, l’economia sociale è definita da specifiche caratteristiche quali il primato delle persone, la finalità sociale e/o ambientale, il reinvestimento della maggior parte degli utili e delle eccedenze per svolgere attività nell’interesse dei membri/degli utenti (“interesse collettivo”) o della società in generale (“interesse generale”) e la governance democratica e/o partecipativa.

Tradizionalmente il termine economia sociale si riferisce a quattro tipi principali di soggetti che forniscono beni e servizi ai loro membri o alla società in generale: cooperative, società di mutuo soccorso, associazioni (comprese le associazioni di beneficenza) e fondazioni. Si tratta di entità private, indipendenti dalle autorità pubbliche e con forme giuridiche specifiche. 

 Le imprese sociali adottano varie forme giuridiche a seconda del contesto nazionale.

Un forma particolarmente interessante sono le imprese sociali finalizzate all’inserimento al lavoro delle persone svantaggiate.  

Questo sarà possibile attraverso:

  • lo sviluppo di quadri politici e giuridici e la declinazione di politiche pubbliche settoriali;
  • il sostegno alle cooperative che rappresentano una forma ben consolidata di modello imprenditoriale dell’economia sociale in quanto gestite da produttori, utilizzatori o lavoratori nel rispetto della regola “un membro, un voto”[4];
  • la sensibilizzazione delle autorità nazionali sulle specificità del modello mutualistico e sulle possibilità di ridurre gli oneri amministrativi[5];
  • l’aiuto alle Fondazioni e associazioni operanti nell’economia sociale ad usufruire appieno dei vantaggi del mercato unico.

I portatori di interessi dell’economia sociale si trovano di fronte a numerose sfide e opportunità. Inoltre, le norme UE vigenti in materia di servizi d’interesse economico generale (SGEI)[6] offrono notevoli possibilità di sviluppo di politiche pubbliche integrate. Tuttavia, le autorità pubbliche non sempre sfruttano appieno tale possibilità, ad esempio in relazione alle attività delle imprese sociali che offrono posti di lavoro alle persone vulnerabili.

Il sostegno finanziario pubblico svolge un ruolo importante nel consentire l’avvio e lo sviluppo dei soggetti dell’economia sociale. Il controllo degli aiuti di Stato mira a mantenere un equilibrio tra tale sostegno e la concorrenza leale e a questo proposto la nuova soglia del de minimis per i servizi generali EU viene innalzata da 500 mila a 750 mila euro per triennio in vigore dal 1° gennaio 2014 va chiaramente in questa direzione.

La fornitura di beni e servizi alle autorità pubbliche e alle imprese tradizionali, e la cooperazione con entrambe, sono elementi essenziali per lo sviluppo dell’economia sociale. Gli appalti pubblici rappresentano il 14% del PIL europeo[7]: per questo motivo sono ampiamente riconosciuti come uno strumento politico essenziale per sostenere lo sviluppo dell’economia sociale e delle imprese sociali[8].

La revisione delle norme UE in materia di appalti pubblici[9] effettuata nel 2014 ha creato per le autorità pubbliche a tutti i livelli numerose possibilità di utilizzo per raggiungere obiettivi politici diversi, tra cui la promozione della protezione ambientale e il perseguimento di obiettivi sociali. Ad esempio, le norme menzionano specificamente gli aspetti sociali tra i fattori che possono essere inclusi nei criteri di aggiudicazione sulla base del criterio dell'”offerta economicamente più vantaggiosa”. Sono previste iniziative per sensibilizzare in merito al valore aggiunto degli appalti pubblici verdi e socialmente responsabili, nonché orientamenti e diffusione di buone pratiche. A questo proposito la Commissione ha di recente ha pubblicato una revisione della guida “Acquisti sociali”[10] contenente suggerimenti e modelli pratici.

Negli ultimi anni alcune autorità locali e regionali si sono rese conto del potenziale degli appalti pubblici strategici per rispondere alle sfide/esigenze della società e promuovere un cambiamento sistemico. Tuttavia, le gare d’appalto pubbliche sono ancora aggiudicate per la maggior parte solo in base al criterio del prezzo e gli appalti pubblici socialmente responsabili continuano a essere molto meno noti e sviluppati rispetto agli appalti pubblici verdi.

Il piano prevede che la Commissione Europea intensifichi i propri sforzi per mettere in evidenza i vantaggi e i modi concreti di utilizzare gli appalti pubblici e le procedure di concessione per raggiungere gli obiettivi della politica sociale e del lavoro, migliorare le condizioni di lavoro e fornire servizi sociali di alta qualità.

Allo stesso tempo, è importante rafforzare la capacità dei soggetti dell’economia sociale di presentare offerte per gli appalti pubblici e agevolarne l’accesso agli appalti privati. Le interazioni con le imprese tradizionali aiutano i soggetti dell’economia sociale a svilupparsi e a crescere; tale cooperazione è aumentata, ma vi è ancora spazio per un’integrazione più sistematica nelle catene di valore delle imprese tradizionali e per una maggiore collaborazione con tali imprese ai fini della presentazione di offerte congiunte per appalti pubblici, anche attraverso nuovi progetti pilota nell’ambito del programma per il mercato unico.

È previsto che la Commissione inviti gli Stati membri e le altre autorità pubbliche competenti a promuovere e monitorare l’adozione di appalti pubblici socialmente responsabili nei rispettivi territori, in cooperazione con i portatori di interessi dell’economia sociale.

I modelli imprenditoriali dell’economia sociale apportano valore alle economie e alle società locali promuovendone l’inclusività, la resilienza e la sostenibilità. Sono fortemente radicati a livello locale e mirano principalmente a servire la comunità in cui si trovano, contribuendo a mantenere la popolazione, le attività economiche e le entrate a livello locale, attraverso lo sviluppo economico locale in settori specifici importanti per le regioni, ad esempio nelle zone rurali in relazione all’agricoltura e alla produzione alimentare biologica oppure nell’economia blu. Promuovono catene di valore brevi agevolando la produzione e il consumo a livello locale e sostengono l’azione sul clima e l’economia circolare. Contribuiscono inoltre alla prestazione di servizi sociali, la cui disponibilità è spesso limitata nelle zone rurali e remote.

Il piano prevede poi l’invito agli Stati membri a istituire punti di contatto locali per l’economia sociale fornendo sostegno tra pari, facilitando l’accesso ai finanziamenti dell’UE e nazionali e mantenendo i contatti con le autorità che gestiscono i fondi europei.

Concordemente con quanto previsto dal memorandum di Social Economy Europe, le sfide su cui misurarsi nell’immediato futuro sono:

 

LA TRANSIZIONE DIGITALE

L’economia sociale partecipa all’alfabetizzazione digitale e al miglioramento delle competenze, allo sviluppo di strumenti e servizi digitali alternativi che supportino la transizione verde, la partecipazione civica, i beni comuni digitali e l’innovazione sociale. L’obiettivo è concorrere alla realizzazione di un mondo digitale democratico in cui i cittadini sono beneficiari dell’uso dei propri dati.

 

LA TRANSIZIONE VERDE

L’economia sociale è un innovatore e svolge un ruolo cruciale nella transizione verde promuovendo pratiche sostenibili, promuovendo la responsabilità sociale e ambientale, sensibilizzando e affrontando le disuguaglianze economiche. Sviluppa prodotti e servizi ecologici in campi quali tecnologie di energia rinnovabile, pratiche agricole sostenibili, agricoltura urbana, efficienza delle risorse di scarto (riduzione dei rifiuti, programmi di riciclaggio, progetti di upcycling e promozione del riutilizzo dei prodotti), pratiche responsabili della catena di fornitura, sostenibilità gestione delle risorse idriche, preparazione alle catastrofi, sviluppo di infrastrutture resilienti al clima e altre industrie verdi, attraverso il coinvolgimento della comunità e i programmi educativi, possono consentire agli individui e alle comunità di fare scelte informate che contribuiscono alla transizione verde.

 

L’EDILIZIA

Il Community Land Trust è un modello di società senza scopo di lucro che detiene terreni per conto di una comunità locale, fungendo allo stesso tempo da amministratore a lungo termine per alloggi a prezzi accessibili, giardini comunitari, edifici civici, spazi commerciali e altri beni della comunità per conto di una comunità. I CLT bilanciano le esigenze degli individui che desiderano la sicurezza del possesso nell’occupazione e nell’utilizzo della terra e degli alloggi, con le esigenze della comunità circostante, cercando di garantire una varietà di scopi sociali come il mantenimento dell’accessibilità economica degli alloggi locali, prevenendo la gentrificazione e promuovendo l’inclusione sociale ed  economica.

 

L’ENERGIA

Le cooperative di comunità energetiche e le comunità di energia rinnovabile promuovono la produzione di energia decentralizzata, indipendente dalle grandi corporazioni. Di solito si tratta di iniziative guidate dai cittadini organizzate a livello comunale e regionale e, in alcuni casi, con la partecipazione delle autorità locali. Offrono ai cittadini e alla comunità l’opportunità di contribuire alla transizione energetica. Inoltre, offrono l’opportunità di investire il proprio denaro in progetti locali o addirittura regionali, questo modello può combattere l’inflazione basata sull’avidità di profitto che l’UE ha sperimentato nella recente crisi energetica all’accelerazione della transizione verde dell’UE.

 

LA RIDUZIONE DELLE DISEGUALIANZE

Le organizzazioni dell’economia sociale forniscono servizi sociali alla comunità, comprese situazioni estreme (e in crescita) come i senzatetto (attraverso alloggi e servizi ESSENZIALI), povertà estrema (attraverso gli aiuti alimentari), e offrono anche opportunità di lavoro a coloro che sono più lontani dal mondo del lavoro mercato, promuovendo una crescita inclusiva e sostenendo politiche che affrontino le cause strutturali della povertà.

 

L’ALIMENTAZIONE SOSTENIBILE

L’economia sociale è un attore forte nel settore che partecipa a questo sistema attraverso la produzione alimentare locale (come l’agricoltura sostenuta dalla comunità, la filiera corta, le cooperative e gli orti comunitari), la riduzione degli sprechi alimentari (attraverso le banche alimentari e le organizzazioni di salvataggio alimentare), la sostenibilità Pratiche agricole (attraverso l’agricoltura biologica, la rotazione delle colture e l’agroforestazione, che riducono gli impatti negativi dell’agricoltura sugli ecosistemi). In generale, le imprese e le organizzazioni dell’economia sociale possono sostenere il concetto di sovranità alimentare, che enfatizza il controllo comunitario sui sistemi alimentari. Dando alle comunità voce in capitolo nelle decisioni relative alla produzione e alla distribuzione alimentare, l’economia sociale può contribuire a garantire che i sistemi alimentari siano più equi e sostenibili.

 

LATRANSIZIONE DEMOGRAFICA

l’ES svolge un ruolo cruciale nella fornitura di servizi di assistenza (fornendo assistenza sanitaria accessibile, servizi di assistenza domiciliare e assistenza comunitaria agli anziani) o di soluzioni abitative (opzioni abitative a prezzi accessibili e adatte agli anziani che forniscono agli anziani stabilità abitativa e senso di comunità), servizi di trasporto basati sulla comunità che rispondono ai bisogni specifici della popolazione anziana, nonché attività di inclusione sociale (combattendo così l’isolamento) attraverso l’organizzazione dello sviluppo della comunità, nonché attività di tutoraggio o di volontariato che supportano la salute mentale, salute fisica ed emotiva.

 

LA REINDUSTRIALIZZAZIONE

l’economia sociale promuove una crescita economica inclusiva, sostenibile e guidata dalla comunità attraverso la creazione di posti di lavoro di qualità (soprattutto, ma non solo, attraverso l’inclusione di gruppi emarginati nel mercato del lavoro), il mantenimento di posti di lavoro e di competenze, fornendo risposte a specifiche esigenze industriali. crisi e mancanza di continuità generazionale delle imprese (attraverso trasferimenti di imprese/acquisizioni da parte dei lavoratori di industrie che non sarebbero considerate sufficientemente redditizie per operare per attori capitalistici), lo sviluppo locale (rivitalizzando la produzione locale e le attività manifatturiere nelle regioni in difficoltà), l’innovazione e sostenibilità (concentrandosi su metodi di produzione sostenibili e innovativi che siano più verdi e più equi, ad esempio le cooperative di piattaforma utilizzano strumenti digitali per rispondere ai bisogni locali in un contesto ambientale modo amichevole), la collaborazione con diverse parti interessate (governi, imprese convenzionali e organizzazioni della società civile) per rispondere ai bisogni locali e attraverso la condivisione delle risorse e la produzione etica (attraverso standard di produzione etici e imprese guidate da scopi sociali).

 

IL SOSTEGNO DELL’ECONOMIA REALE E DELLE COMUNITÀ LOCALI

Il progetto di relazione relativa alla piattaforma sulla finanza sostenibile indica che, di fronte a una pandemia e a questioni sociali irrisolte in merito a una transizione sostenibile, è importante individuare i soggetti e le attività economiche che contribuiscono a promuovere gli obiettivi sociali. La piattaforma indica che l’elaborazione di orientamenti comuni su una tassonomia sociale potrebbe aumentare la trasparenza degli investimenti e prevenire il fenomeno del “social washing”. Come previsto dal regolamento in materia di tassonomia e come indicato nel piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali, la Commissione preparerà una relazione sulla possibile estensione della tassonomia dell’UE per la finanza sostenibile agli obiettivi sociali.

LA DEMOCRAZIA E IMPEGNO CIVICO

Uno dei principi fondanti dell’economia sociale è la sua governance democratica e partecipativa, che rappresenta un modo per promuovere pratiche democratiche al di là della sfera politica e diffonderle ampiamente nella società. La SE promuove la partecipazione economica dando agli individui e alle comunità un interesse nella proprietà e nei processi decisionali. Ad esempio, le cooperative di lavoro e le imprese di proprietà dei dipendenti portano la democrazia sul posto di lavoro, il che significa che il potere è nelle mani dei lavoratori che decidono congiuntamente le principali linee guida delle loro imprese e nominano i loro leader. A livello locale, molte organizzazioni dell’economia sociale sono radicate nelle comunità locali e operano con una forte attenzione ai bisogni e alle priorità locali, promuovendo così il coinvolgimento nella governance locale e nei processi decisionali. La partecipazione dei cittadini è molto importante all’interno dell’economia sociale poiché le organizzazioni dell’economia sociale incoraggiano l’impegno civico e l’attivismo sociale e partecipano all’innovazione sociale e alla sperimentazione di pratiche democratiche, fornendo prospettive alternative e soluzioni ai problemi sociali. Questa diversità di pensiero e di azione contribuisce al pluralismo che è essenziale per una democrazia vivace. Le entità dell’economia sociale si impegnano spesso in attività educative e campagne di sensibilizzazione su importanti questioni sociali e politiche. Possono contribuire a informare e mobilitare i cittadini, promuovendo un processo decisionale informato.

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[1]       COM(2021) 573 final.

[2]       Il concetto di economia sociale gode di scarso o di nessun riconoscimento in almeno 10 paesi dell’UE. Cfr. Comitato economico e sociale europeo, Sviluppi recenti dell’economia sociale nell’Unione europea, di Monzon J. L. e Chaves R., 2017, pag. 35.

[3]       Ad esempio, un’indagine Eurobarometro del marzo 2020 ha evidenziato un’opinione comune secondo la quale uno dei modi più efficaci per affrontare i problemi ambientali è “cambiare i nostri modelli di consumo” e “cambiare il nostro modo di produrre e commercializzare i prodotti”.

[4]       Nel 2003 è stata creata una forma giuridica dell’UE per la società cooperativa europea (regolamento (CE) n. 1435/2003), che introduce una forma giuridica europea per aiutare le cooperative che svolgono attività in più di un paese dell’UE. Offre inoltre una base giuridica per altre società che desiderano raggrupparsi. La direttiva 2003/72/CE del Consiglio, che completa lo statuto della società cooperativa europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori, integra tale regolamento.

[5]       La Commissione spiegherà ad esempio come possono essere ridotti gli oneri amministrativi per le società assicuratrici mutualistiche grazie al quadro rafforzato sulla proporzionalità proposto nell’ambito della revisione della direttiva solvibilità II (COM(2021)581).

[6]       In particolare, decisione 2012/21/UE della Commissione, del 20 dicembre 2011, riguardante l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 106, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale.

[7]       Cfr. COM(2017) 572 final, pag. 3.

[8]       Varga E., How Public Procurement Can Spur the Social Economy, Stanford Social Innovation Review, 2021.

[9]       Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE.

[10]     https://ec.europa.eu/docsroom/documents/45767?locale=it.

Flaviano Zandonai, Open Innovation Manager – Consorzio Nazionale CGM

In cosa consiste, in termini generali, il carattere “industriale”? La rappresentazione che ruota intorno alla produzione seriale di oggetti materiali è ancora rilevante sia nei fatti che nell’immaginario, anche se è vero che nel corso degli anni si è diversificata, tanto che oggi far coincidere l’industriale con il manifatturiero è sempre più limitante. Ciò obbliga a ricercare elementi più profondi che sono rinvenibili non tanto a livello di sovrastruttura ma di modus operandi. Sostanziare quella che si potrebbe definire una “cultura industriale” potrebbe consentire anche alle imprese sociali di comprendere la portata dei mutamenti attesi per farla propria e al tempo stesso generare apprendimenti utili derivanti dalla sua adozione al fine di arricchirla.

Ecco quindi alcuni elementi caratterizzanti l’approccio industriale:

  • la ricerca di un rapporto il più possibile diretto con il consumatore del bene gestendolo all’interno del proprio sistema di offerta (meno intermediari possibili e approccio “a catalogo”);
  • l’utilizzo della tecnologia non solo come ausilio o supporto ma come componente intrinseca e caratterizzante della produzione e che quindi rappresenta la quasi esclusiva frontiera d’innovazione;
  • l’orientamento a superare vincoli di natura ambientale, anche nel caso in cui se ne riconoscono gli elementi di valore, al fine di proiettarsi verso aree vaste che coincidono con i propri mercati di sbocco;
  • la centralità del rapporto capitale / lavoro con una tendenziale prevalenza del primo sul secondo per sostenere investimenti di ampia portata, di lungo periodo e rischiosi che sono necessari per estendere la propria capacità produttiva.

Di fronte a questi, e probabilmente altri, criteri che definiscono la natura industriale si possono sollevare questioni di compatibilità rispetto al modello dell’impresa sociale, naturalmente non in termini formali ma sostanziali. L’impressione, da questo punto di vista, è che un percorso in tal senso sia già in atto, anche se forse procede secondo velocità differenziate e dunque non è facilmente rilevabile e soprattutto governabile. Esistono imprese sociali in grado di proporre sistemi di offerta “proprietari”, anche secondo modalità piuttosto articolate e complesse, all’interno dei quali costruire relazione con beneficiari che spesso sono anche clienti o cofinanziatori e che sono stimolati a codeterminare i contenuti della produzione. Al tempo stesso si notano investimenti sempre più consistenti in dotazioni tecnologiche che contribuiscono non solo a rafforzare l’offerta esistente ma a creare, soprattutto grazie alle risorse del digitale, inediti setting di servizio nei quali proporre nuove attività. E ancora pare ormai terminata, ormai da tempo, la fase del “piccolo è bello” lasciando comunque intravedere modalità di radicamento multi-locale nei territori e nelle comunità anche procedendo in senso top down. E infine la componente di capitale sembra crescere di rilevanza nei modelli d’impresa sociale per far fronte a investimenti che riguardano non solo le già citate tecnologie da introdurre nei propri ambiti di intervento in senso stretto, ma anche in modo crescente lo sviluppo di intere filiere, comunità e territori.

In sintesi, l’avvento di una possibile “era industriale” dell’impresa sociale sembra poter avvenire non del tutto a discapito di quegli elementi di “sartorialità artigianale” che ne hanno in gran parte caratterizzato l’operato e la narrazione negli ultimi decenni. Tutto ciò non solo per esigenze di mera coerenza rispetto alla propria missione di interesse generale, ma al contrario per sfidarla e dimostrare che può essere realizzata anche secondo diverse modalità e approcci.

Giancarlo Rafele, Presidente Cooperativa Kyosei, Catanzaro

Cambiare prospettiva e ripartire da quello che siamo. La prima sfida intrinseca alla cooperazione sociale è il cambiamento di prospettiva. Dalla mera visione di operatori sociali, gli attori del settore devono adottare una mentalità imprenditoriale. Essere consapevoli di essere imprese cooperative implica riconoscere la capacità di creare valore e valori attraverso una governance democratica che colloca i soci al centro. Questo cambiamento di mindset è fondamentale per affrontare le sfide emergenti in modo innovativo ed efficace.

La cooperazione sociale si deve distinguere per la sua intrinseca socialità che si manifesta attraverso la mutualità, sia interna che esterna all’organizzazione. Le cooperative sociali si devono impegnare nell’esigibilità e personalizzazione dei diritti delle persone, diventando protagonista di innovazioni sociali. La legalità, il rispetto dei lavoratori e delle loro competenze, l’osservanza dei contratti di lavoro sono valori cardine. La responsabilità verso i territori e le comunità, la ricerca della sostenibilità e la partecipazione attiva dei soci delineano il profilo distintivo delle cooperative sociali.

Il cuore della cooperazione sociale, infatti, è la governance partecipativa. La governance democratica rappresenta l’anima della cooperazione e ancora di più quella cooperazione sociale. La decisione condivisa e partecipata favorisce la costruzione di reti solide e la promozione dell’innovazione sociale. Analizzare il funzionamento di questo meccanismo decisionale è essenziale per comprendere come le imprese sociali possano coniugare efficienza imprenditoriale e valori etici, garantendo il coinvolgimento attivo dei soci.

La responsabilità verso i territori e le comunità in cui opera è un elemento cruciale. Analizzare come le cooperative sociali si inseriscono attivamente nelle dinamiche locali è essenziale per comprendere il loro impatto e la loro efficacia nel promuovere lo sviluppo sostenibile. Molte cooperative sociali, invece, anche quelle storicamente radicate, hanno progressivamente perso il loro ruolo integrante nelle comunità di appartenenza, trasformandosi in entità estranee, focalizzate sulla fornitura di servizi. Questo cambiamento ha evidenziato un graduale distacco che nel corso del tempo ha separato la cooperazione sociale dalle comunità locali, creando un divario che spesso rende sterile e priva di autenticità l’azione sul territorio. È necessario uscire da quell’inesorabile processo di “istituzionalizzazione” del terzo settore che ha determinato un allontanamento lento ma inesorabile dalle dinamiche delle comunità in cui opera.

La cooperazione sociale, dunque, dovrebbe rappresentare una forma d’impresa che va oltre la mera erogazione di servizi sociali. Socialità, sostenibilità e governance partecipativa sono principi ispiratori della cooperazione che oggi sembrano diventare il nuovo paradigma imprenditoriale. Affrontare la sfida di sentirsi e essere un’impresa sociale richiede una costante riflessione sulla propria identità e un impegno continuo nel bilanciare le esigenze imprenditoriali con l’etica e la responsabilità sociale. Solo attraverso un approccio integrato e collaborativo sarà possibile plasmare un futuro in cui le cooperative sociali siano agenti chiave di cambiamento sociale positivo.

Il problema principale riguarda la categorizzazione del terzo settore, un insieme eterogeneo di organizzazioni unite, al massimo, solo dall’idea di responsabilità sociale. In questo amalgama, organizzazioni di notevole utilità sociale coesistono con altre che hanno scarso rilievo per l’interesse generale. Il rischio è che non si riesca a distinguere tra imprese sociali che promuovono pratiche emancipatorie e quelle che servono solo a loro stesse in un’ottica di subalternità politica e culturale.

È giunto il momento di guardare la realtà con maggiore serietà, di eliminare le ambiguità, di chiamare le cose con il loro nome e di rompere un silenzio colpevole per evitare che tale silenzio perpetui ambiguità e contraddizioni. È giunto il momento di guardare al futuro partendo da quello che realmente siamo e non da quello che diciamo di essere.